Pisapia e la fine della rivoluzione arancione – Le inchieste di Daniele Biacchessi
«Quel che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia».
Così scriveva Gaetano Salvemini, nel lontano 1899, a conclusione del suo saggio “I partiti politici milanesi nel secolo XIX”.
E a Milano sono nati e morti il fascismo, il craxismo, il leghismo e il berlusconismo di governo.
E da ieri si è frantumata pure la grande rivoluzione arancione del 2011 che tentava la strada della politica dal basso, fuori dalle logiche delle segreterie dei partiti, e imponeva con successo le candidature di Giuliano Pisapia a Milano, Luigi de Magistris a Napoli e Massimo Zedda a Cagliari, attraverso primarie locali.
La stessa campagna elettorale di Pisapia nel 2011 fece emergere una nuova partecipazione alla cosa pubblica: vennero create officine tematiche formate da cittadini e comitati di quartiere che disegnavano il futuro della città e delineavano la nuova classe dirigente metropolitana.
Un passo avanti straordinario verso forme nuove di far politica.
Invece no.
L’annuncio a sorpresa di Pisapia chiude nei fatti una stagione dove a scegliere sono stati i cittadini, non certo le alchimie delle nomenclature dei partiti.
Per Milano il futuro politico è oggi più incerto, perché tutto accade alla vigilia di Expo 2015.
I primi segnali delle segreterie politiche dei partiti di centrosinistra e centrodestra che ragionano con formule vecchie, con strumenti antiquati, che bruciano nomi e individuano strade obsolete, non promettono nulla di buono.
E ci si domanda chi si prenderà cura di una città tanto vasta, tanto complessa come Milano?
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